Questa parte si occuperà di vari trattamenti per i disturbi psicotici, con un'enfasi speciale sulla schizofrenia. Queste terapie non includono solo i tradizionali antipsicotici ma anche quelle molecole in corso di sviluppo e quelle che sono solo una possibilità teorica. Il tradizionale trattamento della psicosi consiste nell'uso di farmaci antipsicotici della classe dei neurolettici, che bloccano i recettori alla dopamina, come abbiamo gia discusso in precedenza. Le caratteristiche specifiche dei farmaci antipsicotici differirà naturalmente in relazione al tipo di disturbo psicotico in trattamento (i.e. schizofrenia o un altro disturbo psicotico). Inoltre i trattamenti antipsicotici variano notevolmente in termini di specifico composto, dose, durata del trattamento e associazione con altri medicamenti psicotropici.
Le terapie per la schizofrenia e altre patologie psicotiche sono emerse sia da delle osservazioni casuali sia da dati scientifici di neurobiologia delle psicosi. Questo tipo di approcci hanno fornito nuovi impulsi allo sviluppo di nuovi agenti terapeutici per la schizofrenia. Passeremo in rassegna non solo i neurolettici classici già largamente utilizzati per la terapia della psicosi, ma anche quelli emergenti da uno sforzo di ricerca su larga scala per individuare nuove terapie. Discuteremo anche di approcci terapeutici moderni non ancora sviluppati in pieno, ma che hanno un considerabile potenziale a lungo termine.
Le prime molecole antipsicotiche vennero scoperte per caso negli anni '50,
quando un farmaco che si supponeva essere un antistaminico (clorpromazina) si
dimostrò anche un potente antipsicotico in pazienti schizofrenici. In effetti
la clorpromazina possiede un certa attività antiistaminica, ma ha anche una
ben più potente azione a livello dei recettori dopaminergici. Possiede anche
degli effetti indesiderati sui recettori alfa e su quelli muscarinici colinergici.
Così come nel caso dei classici antidepressivi triciclici, i neurolettici classici
possiedo un'attività intrinseca a carico dei tre sistemi neurotrasmettitoriali
che mediano i loto effetti collaterali ma non i loro effetti terapeutici e cioè:
proprietà antiistaminiche (aumento ponderale), proprietà di blocco alfa-adrenergico
(effetti cardiovascolari), proprietà di blocco muscarinico-colinergico (bocca
secca, visione offuscata e stipsi).
Appena venne osservato che la Clorpromazina era un efficace antipsicotico venne
testata sperimentalmente per scoprirne il meccanismo d'azione. Nei primi esperimenti
venne riscontrato che la clorpromazina e altri farmaci antipsicotici erano in
grado di produrre "neurolepsi" negli animali da laboratorio. Nuovi neurolettici
vennero poi individuati grazie alla loro capacità di produrre questo tipo di
effetto. Sino a molti anni dopo, probabilmente nel decennio 1960-70, venne scoperto
che tutti i neurolettici conosciuti erano in grado di bloccare i recettori dopaminergici,
in particolare quelli di tipo 2 (D2).
I vari antipsicotici differiscono nella loro abilità di bloccare i vari recettori
rappresentati nella tabella. Per questo
motivo i neurolettici differiscono anche nel profilo dei loro effetti collaterali.
Alcuni neurolettici sono più sedativi di altri; alcuni hanno una maggiore probabilità
di causare effetti cardiovascolari; ed alcuni neurolettici sono molto più potenti
di altri. In ogni caso tutti i neurolettici hanno la capacità di ridurre i sintomi
psicotici - soprattutto quelli positivi - nello stesso modo in diversi gruppi
di pazienti schizofrenici in diversi test multicentrici. Il che non significa
che qualche individuo possa rispondere meglio ad un neurolettico che non ad
un altro, ma non vi alcuna differenza sostanziale tra i diversi neurolettici
che vengano testati in gruppi di pazienti sufficientemente rappresentativi.
Tutti i neurolettici tipici sono in grado di produrre delle reazioni extrapiramidali
(EPR) e discinesie tardive, entrambi dovuti alle capacità di blocco dei recettori
dopaminergici dei neurolettici classici. Pertanto l'antagonismo D2 media non
solo gli effetti terapeutici degli antipsicotici ma anche alcuni degli effetti
collaterali delle stesse molecole come abbiamo detto.Alcuni neurolettici hanno
una tendenza maggiore rispetto ad altri neurolettici di produrre effetti collaterali
di tipo extrapiramidale (dovute al blocco dei recettori dopaminergici D2 della
via nigro-striatale). I neurolettici che producono più EPR sono quelli che hanno
minori proprietà anticolinergiche. Quei neurolettici che causano meno EPR sono
quelli che possiedono più forti proprietà anticolinergiche. E' frequente che
farmaci anticolinergici vengano somministrati a pazienti che assumono neurolettici,
in modo da ridurre le EPR.
Come è possibile che il blocco dei recettori colinergici riduca le EPR prodotte
dal blocco dei recettori dopaminergici? Il motivo sembra essere dovuto al fatto
che la dopamina e l'acetilcolina
hanno una relazione reciproca nella via nigrostriatale.
I neuroni dopaminergici della via nigrostriatale hanno delle connessioni postsinaptiche
con i neuroni colinergici. La dopamina normalmente blocca il rilascio di acetilcolina
dai neuroni colinergici postsinaptici nigrostriatali, con il risultato di sopprimere
l'attività colinergica a quel livello. Se tuttavia la dopamina non può più impedire
il rilascio di aceticolina perché i recettori dopaminergici sono bloccati dal
farmaco neurolettico, questo comporta un aumento dei livelli di acetilcolina.Un
meccanismo di compensazione per tale iperattività dell'acetilcolina è quello
di utilizzare dei composti anticolinergici. In questo modo gli anticolinergici
contribuiscono a controllare l'eccessiva attività colinergica causata dalla
rimozione dell'inibizione dovuta al blocco dei recettori dopaminergici in seguito
all'uso di neurolettici. Questo principio ha condotto all'impiego sistematico
di anticolinergici tutte le volte in cui vengono somministrati dei neurolettici
in modo da ridurre la frequenza di EPR. Alcuni neurolettici possiedono un minimo
di attività anticolinergica intrinseca e ciò riduce l'incidenza di EPR dovuti
alle proprietà di blocco dopaminergico possedute dalla stessa molecola. In relazione
al blocco relativo di blocco dei recettori dopaminergici rispetto a quelli colinergici,
un dato neurolettico avrà maggiori o minori probabilità di provocare EPR.
In teoria altri agenti farmacologici che aumentano il rilascio di dopamina così
come accade nel Morbo di Parkinson, potrebbero essere d'aiuto nel ridurre le
EPR, ma questo innalzando allo stesso tempo anche i livelli di dopamina nel
sistema mesolimbico e aumentanto. Di conseguenza, i sintomi psicotici. In effetti
l'amantadina, un composto antiparkinsoniano in grado di aumentare il rilascio
di dopamina, può essere d'aiuto nel impedire le EPR e il simil-parkinsonismo
iatrogeno senza necessariamente peggiorare il quadro psicotico. In pratica i
farmaci anticolinergici sono i composti maggiormente utilizzati in concomitanza
con i neurolettici in modo da aumentarne la tollerabilità e renderli meno capaci
di provocare EPR. Sfortunatamente l'uso contemporaneo di anticolnergici non
impedisce ai neurolettici di produrre le discinesie tardive.
Tutti i neurolettici tipici mostrano la capacità di ridurre i sintomi psicotici
positivi dopo alcune settimane di trattamento. L'astinenza dai neurolettici
causa una ricaduta dei sintomi psicotici nei pazienti affetti da schizofrenia
alla percentuale di circa 10% al mese, in modo tale che circa il 50% dei pazienti
ricadono dopo sei mesi di sospensione dal trattamento. Di conseguenza, un trattamento
a lungo termine con antipsicotici è indicato nei pazienti
affetti da schizofrenia, una malattia che dura cronicamente; mentre non
è indicata in quei disturbi in cui il disturbo psicotico sia di breve durata
o intermittente.Perciò una strategia di "risparmio del neurolettico" dovrebbe
essere tentata solo in quelle situazioni in cui i rischi di un trattamento a
lungo termine non sono giustificabili. Questo è per esempio il caso della depressione
psicotica, che non richiede una terapia a lungo termine con neurolettici una
volta che la patologia si è stabilizzata. Viceversa il rischio di una ricaduta
psicotica in uno schizofrenico è decisamente superiore a quello degli effetti
collaterali dei neurolettici. La crisi psicotica può essere molto più pericolosa
di una discinesia tardiva giustificando la continuazione del trattamento cronico,
sebbene con attenzione, con antipsicotici nonostante la presenza di effetti
collaterali a breve e lungo termine, comprese le discinesie tardive.
La presenza di effetti collaterali a lungo termine hanno condotto alla ricerca
di trattamenti neurolettici che riducessero o eliminassero problemi del genere,
mantenendo la capacità di essere dei potenti antipsicotici capaci di sopprimere
i sintomi positivi delle psicosi. Gli effetti collaterali fastidiosi portano
i pazienti ad una scarsa aderenza alla terapia, perché essi preferiscono smettere
i farmaci per eliminare gli effetti collaterali rischiando una ricaduta dei
sintomi psicotici.
Il primo tentativo di migliorare il profilo terapeutico dei neurolettici classici
venne basato su ricerche che dimostravano che i recettori dopaminergici della
via nigrostriatale erano responsabili degli effetti collaterali mentre quelli
della via mesolimbica erano verosimilmente responsabili degli effetti antipsicotici
dei neurolettici. Sforzi diretti alla individuazione di nuove molecole hanno
portato alla scoperta di molecole più selettive per i recettori dopaminergìci
mesolimbici rispetto a quelli nigrostriatali, in modo da generare un profilo
teorico di maggiore tollerabilità. Alcune indicazioni che questo approccio potesse
essere quello giusto venivano dall'osservazione clinica su alcuni neurolettici
ampiamente impiegati nella pratica clinica. Neurolettici reputati "atipici"
come la tioridazina e sulpiride, per esempio, hanno meno propensione a produrre
effetti collaterali di tipo extrapiramidale, mostrando tuttavia buone capacità
antipsicotiche quand'anche paragonati a neurolettici tipici come la thorazina
e l'aloperidolo. Perciò il termine "atipico" venne coniato e inizialmente applicato
al concetto di efficacia tipica con effetti collaterali atipici.
Una serie di composti benzamidici strutturalmente simili alla sulpiride sono
stati sintetizzati e mostrano un "profilo atipico" di preferenza per i recettori
mesolimbici rispetto a quelli nigrostriatali, almeno nei modelli animali. Alcuni
di questi composti sono stati testati in pazienti schizofrenici ed il primo
di questi composti che ha raggiunto la pratica clinica è stato la remoxipride
(Roxiam), che venne introdotto in Europa e in Canada ma ritirato dal mercato
e mai venduto negli Stati Uniti perché vi erano stati alcune segnalazioni di
anemia aplastica. Un composto correlato, la raclopride, più potente della remoxipride,
è stato molto utilizzato in studi di tomografia con emissione di positroni (PET)
e potrebbe essere impiegato clinicamente una volta terminati gli studi clinici
attualmente in corso.
Altri neurolettici atipici molto promettenti negli studi sugli animali da laboratorio
sono il melperone e la zotepina. I test clinici di questi particolari composti
sono stati sospesi o non completati, perciò è molto improbabile che vengano
immessi sul mercato, almeno negli Stati Uniti.
Nel 1975, Schildkraut e Klein (147) avevano descritto
le "sindromi depressive croniche caratterologiche" come definite da una specifica
costellazione di sintomi. Sulla base dell'osservazione clinica era stato ipotizzato
un disturbo della fase consumatoria del piacere nella depressione maggiore e
della fase appetitiva nei pazienti affetti da depressione caratterologica (148).
Lo stesso gruppo aveva proposto, qualche anno prima, che un'alterata trasmissione
dopaminergica fosse coinvolta nella mediazione del piacere anticipatorio e nella
patofisiologia della depressione (149).
Alla fine degli anni '80 venne ipotizzata l'esistenza di una sindrome omogenea
comprendente anedonia, fatica, perdita d'interessi e riduzione dell'iniziativa
(150). Il corrispondente disturbo dell'umore era
un sentimento di appiattimento affettivo piuttosto che di affettività dolorosa.
Questa sindrome poteva riflettere un'alterazione di funzioni correlate alle
strutture dopaminergiche. Di conseguenza venne valutato il possibile effetto
terapeutico di un farmaco capace di facilitare la trasmissione dopaminergica
in pazienti ambulatoriali affetti da Distimia. Fu scelta l'amisulpride
per le sue proprietà farmacologiche e comportamentali. L'amisulpride
è una benzamide derivata che blocca con alta specificità i recettori dopaminergici
D2 e D3 (151). Quando impiegata a basse dosi (25-50
mg/die) essa mostra delle proprietà di blocco presinaptico preferenziali per
l'area limbica (152). A basse dosi l'amisulpride
potenzia l'apomorfina, uno stimolante dopaminergico (153)
e come gli stimolanti dopaminergici è capace di indurre in modelli animali place
preference (154). Questo farmaco mostra proprietà
di blocco dopaminergico post-sinaptico quando usato ad alte dosi (400-800 mg/die)
e si è dimostrato essere un efficace antipsicotico, che migliora i sintomi positivi
della schizofrenia (155).
Amisulpride 50 mg/die è stata confrontata in uno studio randomizzato in doppio
cieco con Imipramina 100 mg/die o placebo. Ventitré centri parteciparono allo
studio (156). I pazienti di entrambi i sessi, trattati
a livello ambulatoriale, furono inclusi nello studio se essi avevano più di
18 anni e soddisfacevano i criteri DSM-IIIR per la Distimia primaria (300.40),
per una depressione maggiore di grado lieve (286.21) o moderato (296.22) associata
alla Distimia primaria, o per un episodio singolo di una depressione maggiore
in remissione parziale (296.25).
Durante il periodo di trattamento di sei mesi il numero di pazienti che si ritirava
per inefficacia era significativamente maggiore nel gruppo sotto placebo (37%)
che con l'amisulpride (19%) e l'imipramina (12%), mentre il numero di pazienti
che si ritirava per effetti collaterali era significativamente maggiore con
l'imipramina (22%) che con l'amisulpride (11%) e maggiore con l'amisulpride
che con il placebo (3%).
La percentuale di risposte terapeutiche con Amisulpride (64%) era significativamente
maggiore rispetto al placebo (34%; P<0,001). Non furono osservate differenze
statistiche tra i due farmaci (imipramina: 63% di risposte). Il miglioramento
osservato nei pazienti affetti da Distimia pura (41% del campione) e doppia
depressione (59% del campione) era simile in entrambi i trattamenti.
Durante lo studio il numero di pazienti che riportarono almeno un effetto collaterale
era significativamente maggiore nel gruppo che assumeva l'imipramina (88%) rispetto
a quello che assumeva l'amisulpride (53%) o il placebo (60%). Solo i sintomi
endocrini (galattorea o amenorrea) erano più frequenti tra i pazienti che assumevano
l'amisulpiride rispetto a coloro che assumevano il placebo.
Questo studio ha dimostrato che Amisulpride 50 mg/die ha una efficacia maggiore
del placebo. Il confronto con Imipramina, antidepressivo di riferimento, ha
evidenziato un migliore profilo di tollerabilità di Amisulpride a fronte di
una efficacia sovrapponibile.
L'Amisulpride è anche un neurolettico atipico nel senso di provocare un numero
esiguo di effetti collaterali extrapiramidali pur essendo un efficace antipsicotico.
In aggiunta l'amisulpride possiede un basso rischio di indurre discinesia tardiva
(157,158). Alcuni
ricercatori hanno allargato il concetto di "atipico" per aggiungervi quello
di maggiore efficacia e di ridotti effetti collaterali comparandoli con quelli
degli neurolettici tipici.
L'Amisulpride sembra essere diversa dagli altri neurolettici in un'altra caratteristica
fondamentale, essa è attiva sia sui sintomi positivi che sui sintomi negativi
della schizofrenia (159). Questa sua capacità pro-edonica,
e sostanzialmente antidepressiva si esplica maggiormente a bassi dosaggi ed
è proprio dovuta al suo preferenziale antagonismo per gli autorecettori dopaminergici
e, in particolare, per quelli del sistema limbico. L'Amisulpride è un bloccante
puro dei recettori dopaminergici di tipo D2 / D3, la sua efficacia come antidepressivo
(alla dose di 50 mg/die) e di antipsicotico (sintomi negativi alle dosi 100-300
mg/die, sintomi positivi e misti alle dosi 400-800 mg/die) (161,162,163)
dimostra che un azione diretta sul sistema dopaminergico è sufficiente
per ottenere una risposta clinica soddisfacente, con un profilo di sicurezza
del farmaco molto elevato (164,165).
L'esame
dei profili recettoriali di tutti gli altri neurolettici (tipici o atipici)
dimostra altresì che una simile azione sul sistema dopaminergico è anche necessaria
per avere una risposta clinica. In altri termini non sembrano esistere neurolettici
che possano agire senza un'azione di antagonismo dei recettori D2 del sistema
dopaminergico. Il grado di tale antagonismo può essere più o meno potente, ma
non si può escluderlo. Non esistono neurolettici che svolgano un efficace azione
antipsicotica con un blocco selettivo ed esclusivo del sistema serotoninergico,
acetilcolinergico, gluttamatergico (anche se gli studi a proposito sono ancora
in corso) o peptidergico. Infine bloccanti selettivi di altri recettori dopaminergici,
come quelli D1 e D4, non sembrano avere alcuna efficacia clinica.
La clozapina sembra essere diversa
dagli altri neurolettici in due caratteristiche fondamentali: induce pochi effetti
collaterali di tipo extrapiramidale e sembra essere efficace laddove altri neurolettici
classici hanno fallito. Tuttavia appena venne rivelato il profilo di atipicità
clinica della clozapina venne anche rivelato anche il suo grado di atipicità
nella capacità di dare altri effetti collaterali, segnatamente il rischio di
sviluppare agranulocitosi, una complicanza talvolta fatale.
Apparentemente l'azione selettiva sul sistema mesolimbico rispetto a quello
nigro-striatale non basta a spiegare la atipicità, visto che altri neurolettici
"atipici" come le benzamidi, discusse in precedenza, possiedono lo stesso profilo
clinico sugli effetti collaterali ma non sembrano possedere le stesse capacità
terapeutiche della clozapina.
La clozapina
è una delle sostanze più complesse della moderna psicofarmacologia. Per il momento
si sa che è in grado di interagire con almeno nove recettori per altrettanti
neurotrasmettitori. Fortunatamente non sembra che nessuno dei nove recettori
per i neurotrasmettitori sia coinvolto nelle serie reazioni avverse alla clozapina
ed è pertanto possibile, in teoria, ottenere la stessa efficacia clinica della
clozapina senza i rischi di agranulocitosi, variando la struttura chimica della
molecola senza modificare le sue caratteristiche farmacologiche.
Questi sforzi per trovare anti-psicotici simili alla clozapina che ne condividano
le capacità terapeutiche senza avere gli effetti indesiderati si sono concretizzati
in variazioni sul tema dell'antagonismo dei recettori dopaminergici e serotoninergici
selettivamente e nelle loro combinazioni visto che sei delle nove interazioni
della clozapina avvengono con sottotipi recettoriali della dopamina o della
5-idrossitriptamina (5-HT = serotonina).
La teoria maggiormente accreditata sostiene che il simultaneo blocco dei recettori
D2 e 5-HT2 possa spiegare le capacità cliniche della clozapina. Questa possibilità
ha già portato ad una pletora di farmaci correlati, conosciuti come antagonisti
serotonina-dopamina (SDA). Tra questi si trovano tra gli altri: il risperidone,
l'olanzapina, il sertindolo, il ziprasidone, il seroquel, l'iloperidone, l'ORG-5222,
l'amperozide, la savoxepina.
I composti individuali all'interno della categoria degli SDA differiscono l'uno
dall'altro nella relativa capacità di bloccare i recettori D2 rispetto a quelli
5-HT2 alla dose assunta. Questo tipo di farmaci differiscono tra loro anche
nella loro capacità di bloccare altri recettori addizionali come quelli alfa
adrenergici, muscarinici e istaminergici. In genere questo tipo di recettori
sono considerati responsabili degli effetti collaterali e non di quelli terapeutici.
Anche se alcuni ricercatori ritengono che i recettori alfa potrebbero essere
coinvolti nel mediare parte degli effetti terapeutici dei farmaci antipsicotici.
La clozapina è un potente bloccante di tutti questi tipi di recettori. L'ipotesi
SDA ritiene che l'effetto della clozapina a livello dei recettori muscarinici,
adrenergici e istaminergici del tutto irrilevante per le proprietà desiderate
della clozapina. Una delle possibilità di come gli SDA possano avere le speciali
proprietà antipsicotiche della clozapina è che quando siano contemporaneamente
bloccati i recettori 5-HT2 possa bastare un blocco minore dei recettori D2.
Tecniche PET
(utilizzando neurolettici marcati che si legano ai recettori D2 nel caudato
e recettori 5-HT2 nella corteccia) stanno cominciando a evidenziare quale combinazione
di blocco D2 e 5-HT2 sia quella ottimale.
Si tratta pressappoco di un blocco del 70-90% alle dosi terapeutiche dei neurolettici
classici, ma solo del 30-60% alle dosi terapeutiche della clozapina. Studi di
PET sono in corso per alcuni dei nuovi SDA presenti nei test clinici nel tentativo
di valutare quanto blocco 5-HT2 avviene contemporaneamente a quello D2. In questo
senso circa 85-90% dei recettori 5HT-2 sono bloccati a dosi di clozapina che
bloccano simultaneamente solo il 20% dei recettori dopaminergici D2. Viceversa
nessun blocco dei recettori serotoninergici viene osservato alle dosi di aloperidolo
che bloccano più del 80% dei recettori D2. Anche l'antipsicotico atipico tioridazina
blocca una alta percentuale di recettori 5-HT2 e simultanemente di recettori
D2.
Studi iniziali con i recenti SDA come il risperidone suggeriscono che una dose
antipsicotica blocca approssimativamente il 60% di recettori 5-HT2 e contemporaneamente
il 50% dei recettori D2. L'abilità di studiare il blocco dei recettori D2 e
5-HT2 in vivo con tecniche di PET in pazienti schizofrenici consentirà di chiarire
il profilo ideale per un SDA in termini di relativo blocco recettoriale desiderato.
Un dato che emerge dagli studi clinici in corso è quello della necessità di
un qualche antagonismo D2, infatti l'antagonista puro 5-HT2 ritanserina, che
non blocca per niente il recettore D2, sembra avere un'efficacia molto ridotta
nel controllare i sintomi positivi della schizofrenia, anche se potrebbe ridurre
i sintomi negativi senza produrre effetti extrapiramidali.
Le interazioni sul recettore 5-HT2
a livello dei gangli della base
possono anche spiegare come mai gli SDA hanno una minore tendenza a produrre,
soprattutto ai dosaggi più bassi, effetti collateri tipo EPR. Potrebbe trattarsi
della relazione reciproca tra la
dopamina e la serotonina nei gangli della base che pare peraltro causare il
disturbo ossessivo compulsivo (OCD)
.
Nel caso degli SDAs pare che questi composti possano amplificare le differenze
di "cablaggio" tra la dopamina e la serotonina in diverse aree del cervello.
Il che significa che, nei gangli basali, l'input serotoninergico ai neuroni
dopaminergici nigrostriatali produce un'inibizione degli stessi neuroni dopaminergici
attraverso i recettori 5-HT2 postsinaptici presenti su terminali dopaminergici
presinaptici. Questo tipo di input serotoninergico sembra essere assente nell'area
mesolimbica.
Pertanto, quando i recettori dopaminergici sono bloccati nella via dopaminergica
mesolimbica dalle proprietà di blocco
D2 dei farmaci SDA,
questo dovrebbe in teoria ridurre lo stato psicotico. Quando similmente essi
bloccano i recettori D2 nella via nigrostriatale essi bloccano anche quelli
5-HT2 presenti a questo livello. Per questo motivo il blocco dei recettori 5-HT2
tende a impedire gli effetti del blocco contemporaneo di quelli D2, ma solo
nel sistema nigrostriatale e non in quello mesolimbico. Il blocco dei recettori
D2 da parte degli SDA avviene in qualunque area del cervello, ma il simultaneo
blocco dei recettori 5-HT2 avviene solo nell'area nigrostriatale con il risultato
di aumentare il rilascio di Dopamina che ha la peculiare capacità in quest'area
di superare il contemporaneo blocco D2 in questa specifica regione. Questa proprietà
potrebbe spiegare perché gli SDA hanno una tendenza inferiore a produrre EPR
di farmaci antagonisti D2 che non abbiano proprietà di antagonismo 5-HT2. Il
che potrebbe anche spiegare perché le capacità di blocco dei recettori 5-HT2
non mitighino allo stesso tempo gli effetti antipsicotici nell'area mesolimbica,
dove non è presente un simile input serotoninergico.
Molti trial clinici sono in corso per i numerosi SDA che abbiamo elencato, ma
è ancora troppo presto per valutare quali vantaggi essi abbiano nei confronti
della clozapina o rispetto ai neurolettici antipsicotici convenzionali. Al momento
attuale è stato rilevato che la prima molecola di questa nuova classe: il risperidone,
possiede un'efficacia simile all'aloperidolo nel trattamento della schizofrenia.
Vi sono delle indicazioni preliminari su un migliore profilo di tollerabilità
e meno effetti collaterali di questa sostanza, ma tutto ciò non è stato avvalorato
come nel caso della risposta terapeutica. Inoltre non è stato ancora dimostrato
che il risperidone sia superiore ai neurolettici classici, non comparabile in
questo alla clozapina, nei casi resistenti. Queste ricerche sono ora in fase
avanzata di completamento da quando il risperidone ha fatto il suo ingresso
nel mercato di molte nazioni inclusi gli Stati Uniti. Diversi altri SDA stanno
dimostrando un'efficacia clinica superiore al placebo e comparabile a quella
dell'aloperidolo e di altri neurolettici tipici, ma non sono ancora entrati
nel mercato.Solo dopo l'immissione in commercio può essere valutato a pieno
il potenziale terapeutico reale di nuovi composti attivi sulla schizofrenia.
La possibilità che gli SDA siano simili alla clozapina è ancora in uno stadio
iniziale d'indagine, così come lo sono molti altri aspetti dai quali si spera
di ricavare come gli SDA possano essere chiaramente differenziati dai neurolettici
tipici forse in modi ancora non evidenziabili per la clozapina.
La caratterizzazione dei sottotipi dei recettori dopaminergici procede ad un ritmo serrato, man mano che i biologi molecolari identificano geni unici per i sottotipi multipli. Vi sono almeno cinque sottotipi di recettori dopaminergici farmacologicamente distinguibili, ognuno dei quali distinto in isoforme molecolari. Nel mappare le proprietà della clozapina su queste isoforme si rivela un antagonismo più potente sui recettori D4 rispetto ai neurolettici classici. E' interessante notare che alcuni degli SDA hanno anch'essi delle proprietà di antagonismo abbastanza selettivo sui recettori D4. La ricerca è ora in atto per trovare dei composti che siano degli antagonisti selettivi solo dei recettori D4 e di nessun altro recettore, per valutare se composti di questo tipo abbiano un qualche vantaggio nella schizofrenia.
La clozapina blocca anche i recettori D1 e vi sono delle indagini volte a stabilire se un antagonista selettivo per i D1, senza alcun effetto su altri recettori possa rappresentare un trattamento utile nella schizofrenia. Il prototipo di questi composti è il SCH-23390 che ha dimostrato una bassa biodisponibilità e che pertanto non è stato impiegato a livello clinico. Questo composto ha fornito delle importanti indicazioni a livello preclinico e come prototipo per lo sviluppo di altri composti come, ad esempio, il SCH-39166. I test clinici sull'impiego degli antagonisti selettivi D1 nella schizofrenia sono ancora in corso.
Un concetto emergente nella farmacologia è quello di agonisti dopaminergici
parziali. Questi composti imitano il trasmettitore naturale dopamina, che è
un agonista completo; il parziale agonista tuttavia produce solo una parte degli
effetti generati dall'agonista completo (da cui in termine agonista parziale).
Gli agonisti parziali possono esistere per qualunque neurotrasmettitore naturale
ed hanno l'interessante proprietà di comportarsi come degli agonisti o degli
antagonisti in relazione alla quantità di neurotrasmettitore presente. In modo
analogo, un agonista dopaminergico parziale si comporterebbe come un agonista
netto in assenza di dopamina (come sarebbe il caso della corteccia prefrontale
dorsolaterale per i sintomi negativi della schizofrenia) e allo stesso tempo
essere un antagonista netto quando la dopamina è in eccesso (come è stato postulato
per la via dopaminergica mesolimbica per i sintomi positivi della schizofrenia).
Inoltre dove esiste una normale trasmissione dopaminergica (come nei neuroni
nigrostriatali), un agonista parziale potrebbe non produrre degli effetti collaterali
così facilmente come nel caso dei neurolettici tipici, antagonisti totali.
Sebbene diversi agonisti parziali dopaminergici sono attualmente utilizzati
nella ricerca preclinica, si sa relativamente poco sulla potenziale attività
clinica nella schizofrenia. Vi è tuttavia un certo interesse teorico per questi
composti come delle soluzioni al problema già illustrato in precedenza di come
aumentare e ridurre allo stesso tempo l'attività dopaminergica in differenti
vie dopaminergiche del cervello.
L'autorecettore dopaminergico presinpatico è responsabile tenere sotto controllo la quantità di dopamina rilasciata nella sinapsi e bloccare ogni ulteriore rilascio della stessa dopamina qualora la sua attività divenga eccessiva. La dopamina e la maggior parte degli agonisti dopaminergici conosciuti non sono in grado di distinguere tra l'autorecettore presinaptico e quello psot-sinaptico. Di conseguenza, quando la dopamina o un agonista dopaminergico sopprime l'attività del neurone presinaptico, si tratta di un meccanismo auto-distruttivo perché contemporaneamente essi stimolano i recettori post-sinaptici. Un possibile intervento teraputico per ridurre l'eccesso di attività dopaminergica è quello di sintetizzare un agonista che riconosca il recettore presinaptico ma non quello post-sinaptico, con il risultato farmacologico finale di ridurre il rilascio di dopamina e l'attività della dopamina. Un composto di questo tipo è il 3-PPP, che sembra agire come un agonista degli autorecettori nei modelli animali. Ben poco si conosce circa le promesse di questo approccio dai risultati pubblicati nei trial clinici.
Il blocco dei recettori 5-HT3 può impedire l'eccesso di attività dopaminergica in alcuni modelli preclinici. Questi risultati hanno portato alla proposta teorica che un nuovo modo per ridurre l'iperattività dopaminergica nella schizofrenia potrebbe essere quella di bloccare i recettori 5-HT3. Risultati preliminari, in gran parte non pubblicati, dai test clinici, sono stati però deludenti sino ad ora.
La clozapina possiede tra le altre sue uniche caratteristiche farmacologiche quella di essere anche un antagonista 5-HT2C. Una teoria sostiene che il blocco di questo recettore non solo possa ridurre i sintomi della schizofrenia ma anche riprodurre alcune delle efficaci proprietà della clozapina. In accordo con questo concetto è il fatto che l'agonista dei recettori 5-HT2C mCPP provoca un peggioramento dei sintomi psicotici nei pazienti schizofrenici. Per il momento nessun antagonista selettivo 5-HT2C è stato valutato nei pazienti schizofrenici, anche perché la stretta relazione tra i recettori 5-HT2 (denominati anche 5-HT2A) e quelli 5-HT2C comporta che nessun farmaco sia un antagonista selettivo dei recettori 5-HT2C.
Altri composti che sono in una fase iniziale di sviluppo includono gli antagonisti 5-HT1A, le combinazioni tra un agonista parziale 5-HT1A e un antagonista D2, antagonisti di vari recettori per i peptidi come la colecistochinina, la neurotensina e anche farmaci attivi selettivamente su diverse proteine G.
Un altro approccio terapeutico si fonda sulla genetica
della schizofrenia.
Gli studiosi stanno cercando di identificare i geni anormali della schizofrenia
e le conseguenze che questi geni anomali possano avere sulla regolazione molecolare
dei neuroni nei pazienti schizofrenici. Se un disturbo degenerativo viene innescato
dal punto di vista genetico, al principio della malattia, è probabile che possa
essere disinnescato farmacologicamente prima che la progressione del disturbo
continui.Non sarà possibile produrre un agente terapeutico specifico prima che
il sito di questo processo anomalo venga scoperto al livello del DNA neuronale
e identificato il prodotto del gene anomalo. Per il momento non vi sono agenti
terapeutici che sono stati identificati, ma un approccio terapeutico che potrebbe
bloccare l'espressione del prodotto di un gene anomalo, viene definito "strategia
dell'antisenso knockout". In questo caso uno specifico frammento di DNA e messo
KO (knockout) in modo da prevenire la sua espressione grazie alla presenza di
una molecola a cui resta legato.
Studi sulla funzione neuronale da studi di neuroimmagine e test sulle funzioni
cognitive nei pazienti schiozofrenici suggeriscono che la schizofrenia non incominci
quando si mostrano i primi sintomi psicotici. Il
processo di malattia potrebbe cominciare nelle anomarmalità di sviluppo del
cervello sin dal momento del concepimento,
quando i neuroni malati sono incapaci
di migrare nelle aree corrette del cervello, non sono in grado di formare appropriate
connessioni e, infine, sono suscettibili
ad una sorta di precoce esaurimento quando vengono utilizzate nella tarda adolescenza
e al principio della vita adulta. Se il processo di neurosviluppo anomalo è
essenzialmente un problema di sviluppo che si completa molto precocemente nella
formazione del cervello esso è una volta per tutte, avvenuto in modo stabile
senza ulteriore progredire patologico, allora sembra essere particolarmente
difficile modificare una simile situazione. D'altra parte sembra altamente improbabile
che un processo completato nella prima infanzia, sia totalmente asintomatico
sino a quando il processo patologico non si mostri totalmente e che il decorso
della schizofrenia con i suoi "alti e bassi", con le crisi e le loro risoluzioni,
sia del tutto imputabile solo ad un processo psicopatologicamente statico nel
cervello. Nonostante ciò potrebbe dimostrare che un qualche problema di neurosviluppo
si produca nello sviluppo iniziale della patologia schizofrenica. Se questo
fosse il caso, sarebbe estremamente improbabile correggere simili anomalie negli
adulti.
Ci potrebbe essere comunque la necessità ragionevole di compensare un simile
possibile problema di neurosviluppo, attraverso altri meccanismi per interrompere
il procedere della patologia nel paziente sintomatico. E' quindi critico poter
apprendere quali possibili anomalie siano presenti nel paziente schizofrenico
e quali siano presenti ben prima che i sintomi della patologia si facciano evidenti,
per tentare di ridurre il loro impatto nel paziente sintomatico. Potrebbe essere
possibile risvegliare selettivamente i processi di neuroplasticità per una loro
applicazione terapeutica anche nell'adulto sintomatico, utilizzando appropriate
terapie genetiche capaci di istruire degli specifici geni neuronali. Simili
interventi avrebbero il vantaggio di bloccare lo sviluppo dei processi in corso
e, se invertiti, possono avere la capacità teorica di riparare il cervello e
il danno del suo sviluppo.
Si tratta di extrapolazioni superficiali e non provate che si basano sulle più
ottimistiche previsioni terapeutiche che gli attuali approcci molecolari e di
neurosviluppo sembrano suggerire. Sebbene le applicazioni terapeutiche potrebbero
aver bisogno di numerosi anni per essere scoperte e testate, la possibilità
che queste terapie esistano è un fatto incoraggiante per i nostri pazienti schizofrenici.
Considerati gli incentivi economici per quella che potrebbe essere la "cura
di riferimento" e il trattamento di prima scelta per i disturbi psicotici, non
sembra particolarmente difficile capire come mai la maggior parte delle strategie
di scoperta di nuovi farmaci per le psicosi siano mirate all'individuazione
di un meccanismo unico, con lo scopo di individuare un'unica terapia per la
malattia. In realtà potrebbe essere troppo semplicistico pensare che una patologia
con sintomi psicotici possa essere la risultanza di un singolo meccanismo. Patologie
come la schizofrenia e la malattia di Alzheimer potrebbero avere non solo sintomi
psicotici, ma anche vari deficit di tipo cognitivo, più una componente neurodegenerativa.
Oltretutto bisogna fare un atto di fede per credere che un disturbo così complesso
possa essere trattato in modo soddisfacente con un singolo meccanismo farmacoterapeutico.
In realtà come si può chiedere ad un singolo agente terapeutico per la schizofrenia
di trattare i sintomi positivi della psicosi, i sintomi negativi della psicosi,
i sintomi disorganizzativi della psicosi, prevenire future degenerazioni, e
riparare delle anormalità del neurosviluppo?
Forse i trattamenti psicofarmacologici
futuri dei disturbi psicotici dovranno basarsi su i principi contenuti nei capitoli
di terapia oncologica, il cui standard di trattamento è quello di usare farmaci
multipli contemporaneamente. La "chemioterapia combinata" per le neoplasie utilizza
l'approccio di aggiungere insieme diversi meccanismi terapeutici indipendenti.
Quando si mostrano di successo, questo tipo di terapie sono molto più efficaci
della semplice somma dei singoli trattamenti. Di solito questo ha anche il vantaggio
di ridurre il numero globale di effetti collaterali, dato che le esperienze
avverse a farmaci multipli sono mediate da differenti meccanismi non sinergici
tra loro. Perciò i trattamenti della schizofrenia
nel futuro dovrebbero combinare un terapia per i sintomi positivi (forse
una sorta di neurolettici bloccanti i recettori D2) con un'altra per i sintomi
negativi (possibilmente un agonista dopaminergico parziale o un composto che
lavori su una combinazione delle azioni sui recettori dopaminergici e 5-HT)
con un agente neuroprotettivo (e.g. un antagonista del gluttamato). A lungo
termine alcune delle strategie terapeutiche fondate sull'approccio molecolare
in grado di prevenire la progressione della malattia geneticamente stabilita
o capaci di impedire le conseguenze di un neurosviluppo aberrante dovranno essere
nel portafoglio dei trattamenti per la schizofrenia.
Trial clinici con agenti terapeutici multipli che agiscono attraverso diversi
meccanismi potrebbero essere particolarmente difficili da intraprendere, ma
dato che esiste una metodologia approvata per questo tipo di trattamenti nella
letteratura oncologica, questo potrebbe essere un approccio da tentare per complesse
malattie neurodegenerative prodotte da sottostanti multipli meccanismi come
la schizofrenia.