Nell'uomo subito dopo la sospensione dell'uso cronico di cocaina ed amfetamina,
compare una sindrome d'astinenza caratterizzata da letargia, fatica, disforia
ed umore depresso (lxi,lxii,lxiii,lxiv,lxv).
Anche nei ratti in astinenza
dopo la somministrazione cronica delle stesse sostanze si verifica una sindrome
comportamentale caratterizzata da ipomobilità, ridotta sensibilità agli effetti
rinforzanti della autostimolazione intracranica ed avversione condizionata a
determinati ambienti (lxvi,lxvii,lxviii).
Diversi studi hanno dimostrato che l'astinenza
da morfina, cocaina ed amfetamina croniche, è associata con un ridotto rilascio
di dopamina nello striato ventrale, il che suggerisce come una riduzione della
neurotrasmissione dopaminergica potrebbe essere responsabile degli effetti soggettivi
associati con l'astinenza da queste sostanze (lxix,lxx,lxxi,lxxii).
Nei ratti l'esposizione cronica a stress lievi causa una ridotta sensibilità
ai rinforzi positivi, il che è considerato un segno simile all'anedonia, un
sintomo specifico della depressione. Questo effetto comportamentale nei ratti
è associato ad una ridotta risposta da parte dei recettori dopaminergici D2/D3
nel nucleus accumbens. Sia la risposta
comportamentale che la ridotta sensitività recettoriale sono riportati alla
norma dal trattamento cronico con antidepressivi classici e della nuova generazione
(lxxiii).
E' interessante notare che nel modello degli stress lievi e cronici, i recettori
dopaminergici postsinaptici sono iposensibili mentre il rilascio di dopamina
non è ridotto, mentre nel modello da astinenza da psicostimolanti si verifica
una inibizione del rilascio di dopamina associata con una supersensibilità dei
recettori dopamina postsinaptici. Questi risultati suggeriscono che la riduzione
della trasmissione dopaminergica può essere prodotta da diversi meccanismi.
La presenza di iper o iposensibilità a livello dei recettori dopaminergici postsinaptici
può spiegare la presenza o l'assenza di sintomi psicotici, come i deliri o l'agitazione,
in differenti stati depressivi e la facilità o la resistenza dei viraggi dalla
depressione alla mania.
Nel modello della "learned helplessness", l'animale già esposto ad uno evento
spiacevole che non si trova sotto il suo controllo o dal quale non può fuggire,
come una scarica elettrica, diventa in seguito incapace di sottrarsi ad uno
stimolo spiacevole anche se è in grado di farlo, rimanendo passivo, immobile
e mostrando diversi disturbi somatici. Nel modello del "behavioural despair"
viene prodotto uno stato di immobilità dopo aver forzato il ratto a nuotare
in uno spazio confinato. L'immobilità della learned helplessness è soppressa
e quella del behavioural despair è ritardata dal trattamento cronico con antidepressivi
nuovi o classici o dall'Elettroshock (ECT) (lxxiv,lxxv).
Sia la learned helplessness che il behavioural despair sono associati rispettivamente
con una riduzione del contenuto (lxxvi) e del
rilascio (lxxvii) di dopamina nel nucleus accumbens.
Inoltre, il ridotto numero di fughe in seguito ad una scarica elettrica è esacerbato
o riprodotto dal blocco dei recettori
dopaminergici
(soprattutto D1) mentre è antagonizzato dagli agonisti dopaminergici. Simili
risultati sono stati ottenuti con agonisti e antagonisti dopamina nei confronti
dei tempi di immobilità nel behavioural despair test.
L'obiezione più comune all'ipotesi dopaminergica della depressione è che farmaci
antidepressivi clinicamente efficaci inibiscono la ricattura della serotonina
e/o quella della noradrenalina, ma non della dopamina. Tuttavia, numerosi esperimenti
hanno messo in evidenza come il blocco della ricattura della serotonina e/o
noradrenalina avvenga, in vitro e in vivo, immediatamente dopo il trattamento
acuto mentre l'effetto clinico antidepressivo avviene dopo 2-4 settimane dando
conforto al fatto che l'effetto antidepressivo potesse dipendere non dal blocco
della ricattura per se ma, piuttosto, ad altri fenomeni di "adattamento" che
portassero al potenziamento della trasmissione dopaminergica come risultato
comune a diversi trattamenti antidepressivi.
In questo senso, le prime osservazioni di Serra e collaboratori avevano suggerito
che il trattamento cronico con antidepressivi o anche con ripetuti elettroshock
(ECT) (lxxviii) potenziasse la trasmissione
dopaminergica. Numerosi studi condotti nell'ultimo decennio hanno chiaramente
documentato che questo tipo di trattamenti attivano la trasmissione dopaminergica
e che tale effetto è selettivo per il sistema mesolimbico, cioè per il sistema
coinvolto nel controllo dei meccanismi di gratificazione e ricompensa (88).Venne
notato che una proprietà comune degli antidepressivi clinicamente efficaci,
indipendentemente dal loro effetto acuto sulla ricattura della serotonina o
della noradrenalina, era quella di potenziare dopo trattamento cronico la trasmissione
dopaminergica, misurabile utilizzando uno specifico agonista del recettori D2
come il quinpirolo (lxxix,85).
Così, dopo trattamento cronico, differenti tipi di antidepressivi sia classici
che di nuova concezione (e.g. fluoxetina,(lxxx))
potenziano gli effetti psicostimolanti degli agonisti dopaminergici diretti
o indiretti, come ad esempio l'apomorfina,
l'amfetamina e la cocaina
(lxxxi,lxxxii).
Per quanto riguarda la risposta clinica questo potenziamento avviene solo dopo
trattamento cronico ma non in acuto, si stabilisce progressivamente e persiste
per lungo tempo dopo la sospensione del trattamento (lxxxiii).
Il potenziamento è selettivo per quelle risposte comportamentali che sono mediate
dai recettori D2 nel nucleus accumbens, come ad esempio l'attività esploratoria.
Al contrario il trattamento cronico con gli antidepressivi non potenzia le stereotipie
indotte da agonisti dopaminergici, che dipendono dall'iperattività del sistema
dopaminergico nigrostriatale.
Dato che il trattamento cronico con antidepressivi non altera il numero dei
recettori D2 ma aumenta la Bmax dell'adenilato ciclasi nel nucleus
accumbens (lxxxiv), ma non nel nucleo
caudato, venne suggerito che cambiamenti distali ai recettori D1 potessero
essere responsabili della sensibilizzazione dei recettori D2. L'attivazione
dei recettori D1 viene considerata necessaria perché avrebbe un ruolo facilitatorio
sulla trasmissione dopaminergica D2 (lxxxv,lxxxvi)
e venne suggerito che agonisti al livello dei recettori D1 potessero essere
degli efficaci antidepressivi (lxxxvii,lxxxviii).
La facilitazione della trasmissione dopaminergica è prodotta da trattamenti
antidepressivi (lxxxix), anche non farmacologici
come ECT (85) ripetuti o deprivazione cronica di
sonno (xc). Di recente esperimenti
di microdialisi
hanno dimostrato come il trattamento cronico con imipramina (80)
e desipramina (xci) aumenta in modo marcato il
rilascio di dopamina nel nucleus accumbens indotto da cocaina e amfetamina.
Ciò suggerisce che questi trattamenti oltre che produrre una facilitazione postsinaptica
della trasmissione dopaminergica, modificano i meccanismi che controllano la
sintesi, il rilascio e l'inattivazione della dopamina.
Per spiegare il potenziamento degli effetti
stimolanti dei farmaci dopamino-agonisti
un'ipotesi ha postulato una possibile iposensibilità e una conseguente attenuazione
degli effetti sedativi dovuti alla stimolazione degli autorecettori
(xcii). Un'altra ipotesi, viceversa, sostiene
che gli antidepressivi provocano un'ipersensibilità
dei recettori post-sinaptici eccitatori
,
indipendentemente dal fatto che il loro numero rimanga invariato (xciii).
Una possibile spiegazione per l'apparente incongruenza tra queste due ipotesi
è stata fornita indirettamente da uno studio che ha dimostrato come l'attività
della TH dopo trattamento cronico con imipramina dipenda dalla linea di ratti
utilizzata (xciv), una variabile che non era stata
considerata negli studi di cui abbiamo riferito. Un aumento della trasmissione
dopaminergica a livello dei recettori D1 si tradurrebbe in un potenziamento
delle risposte mediate da quelli D2-D3 (xcv). Tale
potenziamento potrebbe essere dovuto sia ad un aumento della liberazione di
dopamina nello spazio sinaptico sia ad un potenziamento a livello del sistema
di trasduzione del recettore. Coerentemente con l'ipotesi di un aumento della
neurotrasmissione a livello D1, la diminuzione del numero di questi recettori
(xcvi) e del loro mRNA (xcvii),
osservabile dopo trattamento cronico con antidepressivi, può considerarsi un
meccanismo adattativo di fronte ad un eccesso di stimolazione.
Se quindi attivare la trasmissione dopaminergica significa ottenere un effetto
antidepressivo, è logico supporre che un deficit di trasmissione dopaminergica
sia associato con la depressione
e che, invece, un'iperattività di questa monoamina possa essere associata alla
mania
.
Più specificamente si può pensare, che il deficit di trasmissione dopaminergica
associato con la depressione, o responsabile di alcuni suoi sintomi, riguardi
il sistema mesolimbico.
L'ipotesi sul ruolo delle monoamine nella patogenesi della depressione ha stimolato
numerosissimi studi clinici mirati a dimostrare un deficit di trasmissione monoaminergica
nei pazienti depressi. I risultati di questi studi hanno tuttavia fornito fino
ad oggi dati molto spesso contrastanti e quindi scarsamente indicativi per individuare
le disfunzioni neurochimiche associate alla depressione. Tra le cause di questi
risultati clinici contraddittori, oltre a problemi di tipo metodologico, vi
é probabilmente il fatto che con il termine depressione si sono spesso indicate
sindromi cliniche diverse o in diverso stadio evolutivo, e quindi con differenti
substrati biologici.
I primi studi hanno cercato di individuare nei pazienti depressi alterazioni
della funzione monoaminergica attraverso la misurazione delle concentrazioni
delle monoamine e/o dei loro principali metaboliti nel liquido cefalorachidiano,
nel plasma, nelle urine, o nel cervello post-mortem di vittime di suicidio.
In queste ultime la maggior parte degli studi ha evidenziato una diminuzione
delle concentrazioni di serotonina e del suo principale metabolita. Negli studi
sulle concentrazioni delle monoamine e/o dei loro metaboliti nei liquidi biologici
si sono osservate diminuzioni, aumenti o nessuna variazione.
Altre ricerche sono state condotte utilizzando come spia della funzione monoaminergica
centrale la misurazione dei livelli circolanti di alcuni ormoni, la cui liberazione
é regolata a livello del S.N.C. dalla noradrenalina (sistema
noradrenergico, sistema noradrenergico
connessioni del nucleus coeruleus), serotonina
o dopamina. Con questi metodi si é cercato anche di mettere in evidenza eventuali
alterazioni della funzione dei recettori monoaminergici nei pazienti depressi.
I recettori delle monoamine o dell'imipramina nei pazienti depressi sono stati
studiati anche direttamente con le tecniche di binding, soprattutto nelle piastrine
o nei leucociti. Anche i risultati di questi studi non permettono attualmente
di poter individuare un'alterazione neurobiologica nell'uomo che possa considerarsi
tipica della depressione. Mentre questi studi hanno utilizzato la misurazione
di "parametri periferici" come spia della funzione monoaminergica centrale,
lo sviluppo di moderne tecnologie oggi ha reso possibile lo studio diretto del
cervello dell'uomo durante le diverse fasi di malattia.
Abbiamo già accennato della reserpina come farmaco capace di provocare depressione nell'uomo e della sua capacità di svuotare sia i neuroni dopaminergici che quelli serotoninergici e noradrenergici del loro contenuto di neurotrasmettitori. Alla base quindi della patologia depressiva causata dalla reserpina vi è anche un deficit di trasmissione dopaminergica. Altri farmaci che possono talvolta causare depressione sono i neurolettici, composti che provocano un deficit di trasmissione dopaminergica perché bloccano i recettori della dopamina.
Probabilmente però, una delle evidenze più convincenti che una diminuita funzione
dopaminergica sia associata alla distimia viene dall'osservazione che la stragrande
maggioranza dei pazienti con Morbo di Parkinson
soffre anche di distimia (xcvii). Il Morbo
di Parkinson infatti è dovuto alla degenerazione
dei neuroni dopaminergici del sistema nigrostriatale
che fa parte del sistema extrapiramidale. Sebbene alcuni autori abbiamo interpretato
la patologia depressiva associata al Parkinson come una reazione alla malattia
fisica, la maggior parte ritiene invece che la depressione si manifesta anche
quando i sintomi fisici non sono ancora tanto gravi da giustificare una reazione
depressiva o addirittura che in alcuni casi la depressione preceda la comparsa
dei disturbi neurologici.
Oltre agli antidepressivi classici che, come abbiamo visto, attivano la trasmissione
dopaminergica, anche altri farmaci dopaminergici hanno una provata efficacia
come antidepressivi. Basti ricordare i bloccanti selettivi della ricattura della
dopamina come la nomifensina e il bupropione. Contrastanti sono invece i risultati
sulla efficacia clinica degli agonisti indiretti o diretti dei recettori della
dopamina, come per es. la L-DOPA, il piribedil e la bromocriptina. In questo
caso tuttavia bisogna ricordare che questi farmaci, a causa degli effetti collaterali,
non possono essere somministrati ad alte dosi e che la stimolazione aspecifica
dei recettori dopaminergici, attivando gli autorecettori, può addirittura causare
un effetto opposto. Un effetto cioè antimaniacale o addirittura depressogeno,
come si è osservato nel caso dell'apomorfina. Questo farmaco infatti, somministrato
a dosi non emetiche, ha un effetto antipsicotico e può provocare depressione.
Il blocco preferenziale o selettivo degli
autorecettori
può invece causare un'attivazione della trasmissione dopaminergica ed aver un
effetto antidepressivo. Con questo meccanismo si può, per esempio, spiegare
l'effetto antidepressivo dell'amisulpride, un bloccante selettivo dei recettori
di tipo D2 che, a basse dosi, blocca preferenzialmente gli autorecettori e potenzia
la trasmissione dopaminergica mesolimbica.